Sapete voi lettori cosa sia la dermatite atomica, l’aspirina fosforescente o il Metalcrom per uso topico? E magari le pastiglie di Cernobyl o l’osso di zinco? Il dottor Antonio Segalla, farmacista a Giubiano dal 1981, prima in via Cadore poi in piazza Biroldi, ne ha sentite di ogni colore in tanti anni di professione, tanto da metter da parte decine di pizzini con le uscite più clamorose dei clienti in cerca di medicine esoteriche come le supposte di vinavil o lo sciroppo di Equitalia, miracolosi però come il bordeaux di Dulcamara, “gran medico e dottore enciclopedico” uscito dalla penna di Felice Romani e dalle note di Gaetano Donizetti.
«In quegli anni ancora un po’ pionieristici, molte persone avevano scarsa cultura e i nomi dei medicinali sono notoriamente difficili, per cui si creavano divertenti siparietti. Ricordo le richieste dell’amaro di Giubiano o di Giuliani e Laudi, al posto dell’amaro medicinale Giuliani, l’Odiosan invece dello Iodosan, Kit & Kat per dire Kilocal o il collutorio una tantum anziché Tantum verde. Un cliente, sul finir dell’autunno, mi chiese anche notizie di un fantastico orario infernale», racconta nel retrobottega della farmacia, zeppo di scaffali con ogni genere di farmaco.
Il dutur è un’istituzione di Giubiano, anche se è nato a Casorate Sempione nel 1948, la barba ormai è brizzolata, ma l’ironia rimane la stessa e anche la voglia di essere ancora lì, dopo tanti anni, a dispensare consigli e rimedi e a dare una mano ai due figli Sebastiano e Lilla, «farmacisti per imposizione», come ci ha spiegato divertito.
«Alla fine del liceo non avrebbero potuto che scegliere farmacia, con la garanzia del lavoro assicurato, diciamo che ho insistito un po’, ma per fortuna hanno dimostrato e dimostrano passione e competenza. Io ho studiato come loro alla Statale di Milano, alla facoltà di farmacia più difficile d’Europa, con un alto tasso di abbandono dopo i primi anni, con molti studenti che si trasferiscono a Pavia o Novara, o addirittura a Urbino».
Il giovane Antonio, una volta laureato, fa pratica a Busto Arsizio per quattro anni, poi arriva a Varese, per lavorare un anno e mezzo alla Farmacia Centrale di piazza Carducci e, nel 1981, passa a Giubiano, dove è collaboratore del vecchio farmacista Wilfrido Baldini di Milano, nella sede allora in via Cadore.
«A dire il vero, sono nato come perito elettrotecnico, ma ho fatto quel lavoro solo per qualche mese, poi ho capito che non era la mia strada. A quei tempi ero fidanzato con quella che sarebbe diventata mia moglie, laureata in fisica nucleare. Tornato da militare scelsi una facoltà di quattro anni, farmacia mi sembrava la più adatta ed eccomi qui. Non ricordo quando ci siamo trasferiti in piazza Biroldi, e successivamente ho rilevato la farmacia da Baldini, lui e la moglie andavano e venivano da Milano ogni giorno, io lo facevo da Casorate Sempione».
Quella degli anni ’80 era un’altra Giubiano: «Non c’erano extracomunitari, anche se devo dire che quelli che vedo qui in zona sono perfettamente integrati e lavorano, non ci sono piccoli clan o persone equivoche. Quarant’anni fa c’era ancora parecchia gente con un basso grado di istruzione, perciò quando qualcuno veniva in farmacia spesso era difficile decifrare la richiesta della medicina, così uscivano fuori nomi assurdi che negli anni ho raccolto in foglietti, poi persi in qualche trasloco. Qualcuno l’ho salvato, per fortuna. Il Metalcrom, per dire Mercurocromo, per esempio, era invece un preparato che si usava per i tubi delle stufe, mentre le pastiglie di Cernobyl volevano indicare quelle di Ormobyl, un lassativo. Però Giubiano non è cambiata dal punto di vista architettonico. Non ci sono state nuove costruzioni, a parte il Tigros e il grande condominio di via Lazio».
Qualcosa di diverso però c’è, l’ospedale del Ponte, trasformato in un presidio per le attività ginecologiche-ostetriche e neonatali-pediatriche di importanza non solo nazionale. «Prima era solo un ospedale cittadino, con anche medicina e chirurgia, ora arrivano pazienti da tutta Italia e molti clienti “di un giorno”, parenti delle donne ricoverate, o neomamme che poi non vediamo più, ma tutti parlano bene del trattamento ricevuto in ospedale. Poi il bed & breakfast di piazza Biroldi porta in farmacia molti stranieri, tanto che dobbiamo essere almeno trilingui, Sebastiano se la cava col francese e Lilla con l’inglese, ma già con lo spagnolo facciamo fatica».
Un tempo le farmacie erano di dimensioni ridotte, i farmaci quelli indispensabili e non c’erano altri articoli, come i cosmetici e gli integratori. Oggi alcune sembrano supermercati. «I farmaci sono aumentati del doppio, soprattutto da una decina d’anni, quando sono arrivati i generici. Li producono ditte diverse, quindi li dobbiamo tenere. Non abbiamo più posto e abbiamo messo scaffali ovunque, poi abbiamo le scorte in magazzino. Alcune medicine vanno tenute in appositi frigoriferi, perché devono stare a una temperatura che va dai 2 agli 8 gradi. Questi apparecchi speciali sono collegati ai cellulari dei miei figli, se va via la corrente arriva un messaggio che avverte del blackout».
Però il dottor Segalla non è sempre stato il serio farmacista in camice bianco, barba e occhiali che incute soggezione. Assieme ai pizzini con gli strafalcioni farmaceutici, saltano fuori alcune fotografie di gioventù, una addirittura lo mostra in pista d’atletica mentre vince una gara dei 110 ostacoli, l’altra svela una sua grande passione, la musica. Nella fotografia in bianco e nero somiglia in modo impressionante a Francesco Guccini, perché nei suoi vent’anni Antonio era voce solista e frontman di un complesso composto da batteria, basso, chitarra elettrica e organo Hammond, con cui eseguiva il repertorio dei Beach Boys e dell’Equipe 84, pop di qualità in giro per il Varesotto.
«Si suonava gratis, ma una volta finimmo addirittura al Teatro delle Arti di Gallarate. Verso i trent’anni, però, grazie a un amico mi sono appassionato di musica classica, che sentivo in macchina quando venivo al lavoro. Poi ho incominciato ad andare ai concerti, alla Scala, dove ho ascoltato grandi direttori e splendide orchestre».
Segalla ama soprattutto il repertorio sinfonico e lirico, aveva una grande discoteca di cd poi donata in seguito a un trasloco, ma cita nomi da brivido, da Carlos Kleiber a Gennadij Rozdestvenskij, Sergiu Celibidache, ad Antonio Pappano, «che purtroppo ha lasciato l’Orchestra di Santa Cecilia di Roma», oltre ai nostri Giulini «gran signore del podio», Sinopoli, Muti, «antipatico ma grande in Mozart» e Abbado.
«Non mi piace invece Toscanini, quando dirigeva Verdi lo faceva sembrare bandistico. Lascio a mio nipote Luca (pianista e critico musicale, ndr.) tutta la musica cameristica e pianistica, la mia competenza non è tale da giudicare se gli esecutori sono validi o meno».
Da ultimo, ecco l’altra grande passione del dottor Segalla, i funghi: «Sono in fibrillazione, tra un po’ andrò in cerca assieme a mia moglie, anche lei appassionata. Faccio due stagioni, la prima che inizia ad aprile con le morchelle, e l’altra che va da giugno in poi. Prima stavamo in Italia, ma adesso andiamo in Svizzera, rispettando le ferree regole della Confederazione, 3 chili a testa in Canton Ticino e 2 nei Grigioni. Gli svizzeri son strani, una volta salutammo un uomo chiedendogli una indicazione e ci rispose quasi con un grugnito, un’altra invece incontrammo una anziana signora che prima ci chiese cosa avessimo nel sacchetto, erano biscotti, poi ritornò sui suoi passi e ci invitò a casa sua a mangiare polenta e gorgonzola. Forse pensò che avessimo fame».
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